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Città di origine antichissima, i primi insediamenti risalirebbero a 700.000 anni fa, avrebbe anche il primato come uno dei siti più antichi dove l’uomo ha usato il fuoco. Un altro vanto è quello di essere stata la prima capitale d’Italia in quanto gli Italici ne fecero la loro capitale dopo averla conquistata nel 90 a.C..

La cucina è ampia con prodotti provenienti sia della terra sia dal mare. Qualche esempio: i primi come Pasta e fagioli; oppure Riso e verza; ma anche Spaghetti con alici; Tacozze (pasta fatta con acqua e farina) e fagioli con l’aggiunta delle cotiche ed un osso di prosciutto; i Crioli con le noci, pasta all’uovo condita con un sugo a base di noci e baccalà; infine la zuppa di ortiche per purificarsi.

Tra i secondi piatti troviamo l’Agnello alla molisana, cotto tra l’altro con strutto e burro; le Fettine alla crema di latte oppure le Fettine di vitello alla contadina; l’Insalata di maiale, preparato con le orecchie e i piedi del maiale ben cotti e conditi con aglio tritato, sedano, succo di limone, olio e pepe; il Fiatone o fiadone, una sorta di torta salata al formaggio; la Mirepoix grassa preparata con carote, sedano, porri, prosciutto, timo, alloro e sale, ottima per insaporire minestre, carni, e verdure brasate. Da tenere presente anche i Taralli salati e aromatizzati al finocchio per uno spuntino.

Tra i dolci ne troviamo uno tipico solitamente esposto sulle bancarelle estive, il Croccante, zucchero fuso con aggiunta di mandorle tostate; oppure addentrandoci nella provincia potremmo provare l’Abbotta pezziende, dolce da forno a forma di panino con uova, zucchero, farina, sugna, ammoniaca, limone. Tra i prodotti a denominazione menziono l’olio Molise DOP che condivide con la provincia di Campobasso.

Il vino a Isernia

Nota di merito ai vini Molise o del Molise DOC Pentro d’Isernia o Pentro DOC, disponibile in bianco, rosato e rosso; al Tintilia del Molise DOC, un vitigno autoctono dall’accentuata intensità olfattiva; infine il Rotae IGT.

Oggi andiamo a Isernia, ma non con un isernino, bensì con una persona che avendola visitata per lavoro, oltre che per piacere, ha questa città nel cuore. È insieme a Marco Genzanella che iniziamo la visita di questa città che ci colpisce per i monumenti in pietra e per il colore, quasi uniforme, piacevole e tranquillo, che vediamo per le vie centrali. Attraversiamo dei vicoli magnifici, con delle visuali talmente d’impatto che è impossibile non estrarre il telefonino e fare delle foto da portare a casa i nostri cari. Dopo aver visitato la cattedrale di San Pietro, uno tra i monumenti più belli di Isernia a nostro parere, Marco ci conduce in un locale poco distante dove ci sediamo e ordiniamo, come di prassi, l’aperitivo per le interviste. In un clima estremamente tranquillo e confortevole partono le domande.

Da 1 a 10 quanto è utile per te incontrarsi a tavola per fare business? e perché?

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Sedersi a tavola mette di buon umore, crea aspettative e questo credo siano emozioni già molto forti e coinvolgenti. Sicuramente toccano ambiti emotivi che possono ben predisporre a possibili scambi di opinioni e anche a concludere qualche buon affare.

Credi/ritieni esistano particolari usi, costumi locali nel relazionarsi a tavola? Idem in momenti più “soft” come le pause caffè, gli aperitivi ecc.

Mi trovavo a Scapoli in provincia di Isernia per motivi musicali ed antropologici. Ogni anno infatti in questo piccolo Borgo si tiene il festival della zampogna, strumento musicale agro pastorale tipico di queste zone montane. Chiaramente essendo un festival dedicato al mondo musicale dei pastori e al relativo repertorio, i pochi ristorantini del paese e i numerosi banchi di Street food offrivano un ventaglio di proposte culinarie che parlavano di quel mondo umile e semplice, robusto e tenace. Assaporai quindi soprattutto carne di pecora e formaggi. Gustai degli spiedini di arrosticini di pecora, dal sapore forte, affumicato, inconfondibile, seduto su dei gradini di un vicoletto, sorseggiando qualche bicchiere di vino rosso che un anziano mi aveva offerto, vedendomi mangiare solo. La sua casa era lungo quel vicolo, e non passarono molti minuti che mi invitò a casa sua dove parlammo lungamente della sua vita, la guerra e lo svuotamento dei paesi di quelle montagne. Sembrava molto solo ma in pace. Gente ospitale quella delle montagne molisane. Ricevetti in dono in pochi giorni di permanenza in quel borgo, vino e formaggi. Un angolo sperduto dove è possibile rintracciare una parte di Italia estinta, autentica, che ha conosciuto la difficoltà della vita pastorale, lo scorrere del tempo nella lentezza dei cicli naturali, la transumanza, l’emigrazione…

Se dovessi descrivere la tua città dove vivi tramite il piatto tipico, quale indicheresti? Anche più di uno.

Soprattutto piatti a base di carne di pecora e capra, arrostita sul fuoco o lessata, dagli inconfondibili sapori forti. Poi formaggi, pecorini e caprini, ricoperti a volte da erbe, stagionati. Ricordo con emozioni forti l’odore di muschio ed erba che provenivano dalle cantine delle case che visitai, dove immancabilmente un bicchiere di vino rosso accompagnava le degustazioni che diversi pastori mi offrirono con uno spirito di orgoglio e desiderio di condivisione che commuovevano.

Se dovessi descrivere la città dove vivi tramite la bevanda tipica (alcolica o analcolica), quale indicheresti? Anche più di una.

Direi che bere acqua a Scapoli sia difficile. Il cibo di per sé dai sapori così forti, renda il vino rosso la bevanda più idonea. Questo crea una grande complicità e avvicina le persone, in questo mondo pastorale umile e remoto, dove questi momenti si caricano di una forte coesione sociale, intima e distesa.

Puoi descrivere un rito o un’abitudine relativi alla tavola tipici della tua città?

Come ho sottolineato io ero un turista, ma dalla vocazione antropologica. Mi ero recato in Molise per studiare la musica popolare di cui sono appassionato e trattandosi di un ambito culturale agro-pastorale é ovvio che cercai di scorgere quel mondo anche a tavola. Le mie esperienze sul campo nacquero tutte spontaneamente, e venni invitato dagli abitanti del luogo a varcare i confini delle loro case senza averli conosciuti precedentemente, ma in modo conviviale, quasi come se fossi stato un viandante. Avevo 25 anni e le persone che mi ospitarono avevano almeno 70 anni. Era chiaro che cercavano compagnia, desideravano condividere esperienze passate e raccontare della loro vita. Qualcuno aveva visto partire i figli verso l’America, l’Australia, il Brasile… e nella solitudine delle montagne spopolate, incontrare un giovane disposto ad ascoltarli era già una festa e mi circondarono di attenzioni, piccoli gesti, riti che avevano il sapore del rituale di passaggio, le chiavi per accedere al loro mondo interiore e materiale di cui il cibo era una chiave di volta. Ricordo che quando mettevo in bocca qualche pezzo di carne abbrustolita e ancora fumante, questo anziano pastore mi chiedeva: ” com’è? Si sente la montagna? Una bella domanda che sottolineava il bisogno di capire sé stessi “comprendendo” il mondo “interiore” che c’era dietro alla preparazione del cibo.

Hai una ricetta di famiglia, qualcosa che identifica le tue origini e che condivideresti?

Dalla mia esperienza posso affermare che le ricette tipiche che ho assaporato parlano un linguaggio duro, e il cibo ben esprime questa asprezza fatta di pascoli e alture, gelo invernale e calura estiva. Una vita intera passata fra le montagne in compagnia del silenzio e del belare delle greggi. E la pecora è l’ingrediente onnipresente. Bollita, arrostita, cotta sulla brace assume quasi un valore atavico, ancestrale. Lo strumento musicale stesso dei pastori che accompagna la transumanza é costruito con parti animali. L’otre infatti é ricavato interamente dalla pelle sfilata della pecora o della capra. E direi che in questa atmosfera arcaica, che abbraccia tutta la cultura pastorale, gli arrosticini siano uno di quei piatti piu tipici e identificativi. Un piatto essenziale, preparato con gesti lenti e mirati, mentre si infilano negli spiedi i bocconcini che poi andranno a rosolarsi e abbrustolirsi sulla brace. Aromatizzati da erbe e condimenti raccolti sui crinali delle montagne.

Concludiamo con un tuo aneddoto, ricordi un momento in cui hai fatto delle scelte a tavola che ti hanno permesso di raggiungere gli obiettivi oppure al contrario, che ti hanno precluso questa possibilità? Puoi descriverle?

Nello specifico di questa mia esperienza molisana, il cibo è stato un rituale d’iniziazione, in quanto a me é servito per accedere ad un mondo, ad entrarci dalla porta principale, che parla ai sensi e quindi necessita poi di essere decifrato e ognuno lo fa in base alla propria preparazione culturale e sensibilità. Direi che nel caso specifico il mio obbiettivo fu largamente raggiunto e credo che sia stata un’esperienza fuori dal tempo. Un tuffo come dicevo in un mondo in via d’estinzione che conserva la genuinità delle origini, la spontaneità della condivisione e l’apertura di cuore.

Grazie Marco per il tempo che ci hai dedicato, speriamo di reincontrarti presto.

Di seguito alcuni collegamenti utili per approfondire la conoscenza di Isernia

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