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Quando si parla di cacciucco si parla di Livorno e il dubbio sul miglior vino da abbinare, un fresco vino bianco, un rosato oppure un vino rosso, rimane. La fame invece no, ben 13 diversi tipi di pesce per comporlo sfameranno anche i più affamati. Qualora così non fosse potranno consolarsi con un baccalà alla livornese rigorosamente preparato in una pentola di coccio, oppure per un fast food potranno optare per un “5 e 5”, panino farcito con una torta di ceci.

Piatti che invitano a dissetarsi, ma non di acqua; quindi basta spostarsi di qualche chilometro per degustare un Val di Cornia DOC, scegliendo tra l’ampia gamma di produzioni che spaziano dal bianco, al rosso, al rosato espressi anche come “riserva”; oppure attingere dalla vicina Elba DOC bianco, rosato o rosso spingendosi fino al Vin Santo, magari con qualche cantuccio; infine ma non meno importante la vicina zona di Bolgheri che tanto offre agli appassionati che possono spaziare dai bianchi ai rosati ai rossi, incluso il Sassicaia (vi ricorda nulla?!?!).

Livorno è una popolosa città toscana, un importante scalo commerciale ed un trafficato porto turistico. Città natale di personalità prestigiose come Modigliani e Mascagni, è rinomata per l’allegria e la predisposizione allo scherzo dei suoi cittadini. Andiamo all’incontro con i nostri amici Renzo GuddemiMauro Bacci e Roberto Ricciotti in Piazza Grande, nel cuore della città pentagonale, le cui armonie hanno ispirato piazze di Londra come Coven Garden e di Parigi come Place des Vosges. Capiamo subito che sarà un’intervista interessante e ricca, quindi ci accomodiamo al bar e partono le domande.

Renzo, da 1 a 10 quanto è utile per te incontrarsi a tavola per fare business? e perché?

8
Credo che sia uno dei luoghi fondamentali per fare business. In un certo senso incontrarsi a tavola dà dinamica e ritmo nel fare affari. Credo anche che ci sia un’analogia tra il modo di porsi a tavola delle persone e il loro modo di fare business. Di conseguenza do voto otto perché gli ultimi due voti per arrivare a 10 spettano all’abbinamento vino/cibo e al commensale.

Credi o ritieni che esistano particolari usi, costumi locali nel relazionarsi a tavola? Anche in momenti più “soft” come le pause caffè, gli aperitivi …

Sicuramente. Ogni momento, dalla colazione allo spuntino di mezzanotte, ha le proprie caratteristiche e costumi. Dalle mie parti ad esempio l’aperitivo è, almeno per la mia esperienza, un momento di totale relax. Soprattutto d’estate. Io stesso prediligo usare la colazione o il pranzo per parlare di lavoro mentre il tardo pomeriggio e la sera per godersi la vita e lo spettacolo che ci regala il mare. E penso che i miei concittadini concordino con me.

Roberto dicci la tua.

A Livorno si ha a che fare con i Livornesi: senza peli sulla lingua, veraci e diretti e soprattutto irresistibilmente simpatici nel relazionarsi. Ogni occasione è buona per la battuta, magari feroce, e per entrare in confidenza. Ve la ricordate la “beffa dei falsi Modigliani” che fece il giro di tutti i notiziari nel mondo una quarantina d’anni fa? Non poteva che venire fuori dal carattere locale giocoso e irriverente. E qui c’è tanta passione per l’arte: Livorno ha dato i Natali a Modigliani e a Fattori e Goldoni vi ha ambientato “la Locandiera”. Senza dimenticare il grande Mascagni e più recenti e popolari Piero Ciampi, Umberto Bindi e Bobo Rondelli interprete dell’attuale Livornesità. Senza dimenticare il Cinema e Virzì. I livornesi si ritrovano alla Baracchina, a San Iacopo in Acquaviva, oppure all’Ardenza, a gustare aperitivi divertenti o frutti di mare gustati in compagnia di un vino bianco profumato.

Mauro, se dovessi descrivere la città dove vivi tramite il piatto tipico, quale indicheresti? Anche più di uno.

Il piatto tipico è sicuramente il cacciucco (tassativamente con cinque C) che quando porti a pranzo o cena una persona non livornese, fa sempre il suo effetto. La raccomandazione, visto che la ricetta originale non è proprio leggera, è di moderare le dosi e magari all’occorrenza di evitare il pane “agliato” in fondo alla pirofila di portata.

Roberto, sappiamo che qua hai da dire la tua.

Il Cacciucco si identifica con la città: mescolanza di ingredienti e sapore deciso. A seconda delle varie leggende lo si vuole simbolo della generosità popolare, un piatto nato dalla raccolta dei pesci offerti dai pescatori alla famiglia di un loro compagno morto durante una tempesta. Un’altra leggenda lo vuole simbolo delle origini di Livorno e della sua popolazione composta da un amalgama di genti e di comunità diverse: ebraiche, africane, levantine, anglicane e olandesi. Il fondersi delle varie culture, religioni e tradizioni, anche gastronomiche, sarebbe quindi rappresentato dal cacciucco. Secondo lo storico livornese di origine siriana Paolo Zalum, il cacciucco sarebbe stato inventato da un guardiano del Fanale, il faro del porto, al quale un editto della Repubblica fiorentina proibiva di friggere il pesce (perché l’olio doveva essere usato per alimentare la luce del faro). Da qui l’invenzione del cacciucco, che di olio ne richiede poco.

L’ipotesi che appare più verosimile è quella secondo la quale i pescatori, finito il lavoro e venduto il pescato, preparavano un piatto con i pesci rimasti; il piatto sarebbe poi stato adottato anche dai forzati condannati a remare sulle galere granducali. Riportiamo la ricetta del “Cacciucco alla Livornese” di Ivo Piagneri, fondatore della Trattoria da Galileo, da tutti conosciuto come il Mago del Cacciucco. Naturalmente questo è un promemoria per tutti coloro che vogliono cimentarsi nella preparazione del celebre piatto, ma i segreti più nascosti … beh, quelli sono gelosamente custoditi!

Ingredienti(per 6 persone): 4 chili tra Polpi e Seppie, 800 grammi di Palombo (o in alternativa di Nocciolo), mezzo chilo di Cicale di mare (o in alternativa Canocchie), circa un chilo suddiviso tra Scorfani, Gallinelle, Tracine, Ghiozzi, Bavose, Sugarelli, mezzo chilo di cozze, olio d’oliva, due cipolle bionde, un tralcio di salvia, cinque o sei spicchi d’aglio, peperoncino rosso intero, un bicchiere di vino bianco secco, pomodoro passato, prezzemolo, fette di pane toscano scuro (cosiddetto “pane campagnolo”) abbastanza larghe.

Preparazione: In una prima casseruola versiamo dell’olio extravergine d’oliva verace, una base di cipolle bionde, un tralcio di salvia fresca, due o tre spicchi d’aglio schiacciati e due o tre peperoncini rossi interi. Mettiamo a soffriggere il tutto, non appena le cipolle imbiondiranno si uniranno al soffritto i polpi e le seppie fatte a piccoli pezzi e quando questi dal colore grigio saranno passati ad un colore rosato andremo ad aggiungere un bicchiere di vino bianco ben secco e il pomodoro passato nella misura di due o tre cucchiai a seconda della preferenza. A questo punto abbasseremo il fuoco e manderemo il tutto a fuoco lento per 40 minuti, poi una volta trascorso questo tempo spegneremo e la prima delle tre parti del Cacciucco è pronta.

In un’altra casseruola mettiamo olio, un tritato di aglio, peperoncino e prezzemolo, e lasciamo soffriggere per qualche minuto, poi aggiungiamo qualche cucchiaio di polpa di pomodoro e dopo circa un quarto d’ora di bollore a fuoco lento uniremo il Palombo a tocchetti (o il Nocciolo) attendendo dieci minuti per la cottura del pesce, quindi spegneremo. In una terza casseruola con la stessa identica base della seconda, e sempre attendendo i canonici 15 minuti per insaporire bene il pomodoro, aggiungeremo tutto il pesce rimanente tagliato a pezzetti e dopo qualche minuto le cozze. Mentre finisce di cuocere questa terza pentola possiamo abbrustolire il pane e deporlo nelle terrine di portata dopo averlo ben strusciato con uno spicchio d’aglio. A questo punto, avendo cotto le tre componenti fondamentali del Cacciucco alla livornese, possiamo servire assemblando in giuste proporzioni aggiungendo da ultimo le cozze in ogni piatto e il Cacciucco è servito.

Mauro, e se dovessi descrivere la città dove vivi tramite la bevanda tipica (alcolica o analcolica), quale indicheresti? Anche più di una.

La provincia di Livorno è sicuramente una provincia fortunata per le bevande alcoliche… vino? Credo basti pronunciare la parola Bolgheri per farvi venire in mente un Sassicaia, un Ornellaia, un Masseto o un più tranquillo Bruciato e tutti i rossi della zona del bolgherese fino a San Vincenzo … o l’Aleatico dell’isola d’Elba. A Livorno Città abbiamo 2 eccellenze: il PONCE, il caffè scaldato a vapore con il liquore tipico per l’occasione ed una scorza di limone e la Birra Artigianale con le birre del PICCOLO BIRRIFICIO CLANDESTINO realtà che dal 2010 produce birra artigianale di grande qualità ricevendo premi in tutta Europa per la qualità delle birre prodotte, appunto.

Puoi descrivere un rito o un’abitudine relativi alla tavola tipici della tua città?

Direi che più che rito è un “modo”; Livorno è una città, diciamo, molto “inglese” nel senso che istintivamente viene da rivolgersi dando del tu anche a chi non si conosce, ma non è maleducazione, è il You di marca anglosassone, stessa natura e stessa funzione, per cui figuriamoci a tavola. A tavola siamo tutti amici e conseguentemente nei ristoranti livornesi è sempre caratteristico il volume della voce … alto … difficile trovare un ristorante dove si sente solo la punta del coltello o della forchetta… da noi godere della vita è un imperativo. Non per niente quando due persone litigano o si prendono troppe confidenze, la prima cosa che viene detta è: “oh ma io e te abbiamo mai mangiato insieme???” Che è un modo di dire “come si permette?”

Anche su questo Roberto deve intervenire, perché:

A Livorno se trovate un locale con la scritta “Pizza e Torta”, fermatevi, entrate e provate ad assaggiare la famosa torta di ceci. Assaggerete anche un po’ di tradizione livornese, Accompagnatela con un bicchiere di spuma “bionda”, bevanda della tradizione livornese. Fatevi fare il classico “cinque e cinque” (il cui nome deriva dal periodo in cui venivano acquistati 5 centesimi di torta e 5 centesimi di pane) cioè la torta servita in una focaccina o nel pane francese da gustare cammin facendo. Ecco la ricetta: Stemperare una parte di farina di ceci e tre parti d’acqua in una terrina, aggiungere il sale e mescolare energicamente per sciogliere i grumi di farina. Lasciare riposare la miscela per un paio d’ore, mescolando di tanto in tanto per evitare la decantazione della farina. Ungere una teglia in rame stagnato con un velo d’olio e, dopo aver aggiunto mezzo bicchiere d’olio, versare la miscela partendo dal centro della teglia fino a uno spessore di circa 5 mm. Mettere in forno e cuocere fino a che non si sarà formata una crosticina dorata; infine spolverarla con il pepe.

Hai una ricetta di famiglia, qualcosa che identifica le tue origini e che condivideresti?

Questa ricetta si identifica con l’antica povertà di una città popolare: brodo di sassi (ricetta inattuabile al giorno d’oggi almeno dalle nostre parti per l’inquinamento marino). Tre o quattro bei sassi spugnosi della banchina raccolti dal fondale in un secchio con l’acqua, il tutto per non far loro prendere aria, una cipolla e odori nostrani. Al posto del sale si usava l’acqua marina e si faceva bollire un’oretta poi si filtrava attraverso un cencino fitto, si cuoceva la pastina e si condiva con un po’ d’olio, pepe e una spruzzata di pecorino grattugiato.

Poi c’è l’Inno di Garibaldi, chiamato così per il colore preponderante di questa pietanza: il rosso. Che poi era quello delle camicie rosse dei garibaldini; un colore che per molto tempo si pensò fosse stato attribuito da Garibaldi come valenza di coraggio e sacrificio. E proprio a quel colore si ispirarono i livornesi per rendere importante un umile piatto della loro cucina popolare a base di lesso avanzato, appunto, patate e pomodori. Un’ultima cosa: pare che a Garibaldi, da buongustaio, piacesse anche una bevanda calda a base di caffè e rum che a Livorno chiamavano Ponce. Mi viene in mente che Livorno è una città popolare dove in passato la fame si faceva sentire: da lì cito un’altra ricetta.

LA RICETTA DELL’INNO DI GARIBALDI
Ingredienti: lesso avanzato, patate tagliate a pezzetti, uno spicchio d’aglio, rosmarino quanto basta o salvia, olio extravergine di oliva, pomodori pelati (o conserva di pomodoro), sale e pepe. Preparazione: in una teglia capace, far rosolare l’aglio con l’olio ed il rametto di rosmarino (o salvia), unire le patate e portarle quasi a cottura. Salare ed aggiungere i pomodori ed eventualmente qualche cucchiaio di brodo; infine aggiungere il lesso tagliato a tocchetti, lasciare insaporire bene e spolverare di pepe a piacere. Si serve caldissimo.

Concludiamo con un tuo aneddoto Renzo, ricordi un momento in cui hai fatto delle scelte a tavola che ti hanno permesso di raggiungere gli obiettivi oppure al contrario, che ti hanno precluso questa possibilità? Puoi descriverle?

Sono un albergatore e di conseguenza è un po’ nella mia indole lavorare e fare affari al bancone di un bar o a tavola. Quando sono subentrato a mio padre alla gestione del nostro Hotel di famiglia, il bar più vicino alla mia struttura era diventato come un ufficio. Ricevevo tutte le maestranze coinvolte nella ristrutturazione dell’Hotel in quel bar tra caffè e pranzi di lavoro. Ricordo perfettamente che molte delle decisioni più importanti le ho prese in quel locale. Ricordo anche questo: il giorno in cui ho riaperto, dopo tre anni di lavori, mi sono rivolto allo stesso bar perché, preso dagli eventi, mi sono scordato di comprare una lattiera per il primo cappuccino della mia gestione e loro sono stati gentilissimi a prestamene due.

Grazie Renzo, grazie Mauro e grazie Roberto per il tempo che ci avete dedicato, speriamo di reincontrarvi presto.

Di seguito alcuni collegamenti utili per approfondire la conoscenza di Livorno

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