La nascita della città di Reggio Emilia è poco chiara: attribuita prima ai Liguri poi agli Etruschi, ai Galli Boi infine ai romani intorno al 560 come colonia, testimoniata anche da Plinio. Di certo si sa che le origini dei primi insediamenti risalgono alla preistoria. I romani la chiamarono prima Regium, da confine, regione, territorio, paese, poi prese il nome di Regium Lepidi, probabilmente in onore del console Marco Emilio Lepido, che dopo aver rincorso e sconfitto i Liguri nella Garfagnana e in Emilia, fece costruire la città come luogo sicuro e di riparo dalle zone impervie che erano all’epoca quelle della pianura padana. Realizzò la Via Emilia come via di collegamento di Rimini con Piacenza, includendo proprio Reggio come luogo di passaggio.
Correva l’anno 1077 e Reggio fece parlare di sé grazie alla storica “Umiliazione di Canossa” che papa Gregorio VII diede a Enrico IV, imperatore del Sacro Romano Impero, in merito alla questione delle investiture. I due secoli successivi furono impiegati in scontri con le città limitrofe anche per accaparrarsi l’uso esclusivo del fiume Secchia. Nel 1219 Reggio ottenne la concessione imperiale per fondare la Zecca; fondazione che portò la città ad un’autonomia economica con conseguente espansione delle proprietà.
Reggio il cui nome evoca nei ricordi del visitatore profumi di specialità conosciute e apprezzate anche oltre confine con riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta. Alcuni tra questi sono la pera dell’Emilia-Romagna e la fresca ed estiva anguria reggiana IGP, per non parlare dell’Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia DOP. La cucina di Reggio è sicuramente legata al maiale dal quale, oltre ai vari salumi, si ottiene lo strutto che è la base della cucina, influenzata anche dalle altre città emiliane e da Mantova con cui in passato ebbe gioie e dolori.
Reggio Emilia a tavola
Un viaggio virtuale a tavola prevede gli antipasti come Gnocco fritto, un impasto a base di farina, reso sottile, tagliato a rombi e fritto nello strutto, quindi consumato con fette di salame; l’Erbazzone impasto a base di erbette, uova, parmigiano-reggiano e aglio, cotto in forno fino a farlo diventare dorato; per proseguire con qualcosa di più particolare come Câsagai, polenta fritta con all’interno fagioli; i Ciccioli di maiale; i primi piatti con i Tortelli verdi o quelli di zucca; le Tagliatelle con il ragù; i Cappelletti in brodo; le Lasagne al forno, preparate con il Parmigiano-Reggiano DOP; stesso ingrediente dei Passatelli, con l’aggiunta di uovo, pangrattato e noce moscata, Tra i secondi piatti troviamo il Bollito misto; lo Stracotto di somarina o di bue; il Polpettone di tacchino; il Coniglio alla reggiana; infine, ma non ultimo, lo Zampone, soprattutto durante le feste.
Un vino in particolare caratterizza la zona, il Lambrusco, che nella denominazione Salamino esprime tutta la frutta e l’eleganza dei fiori freschi al naso.
Oggi ci troviamo in compagnia di tre amici: Fausto Piccinini, Alberto Cocconcelli e Corrado Capelli che ci accolgono in uno degli innumerevoli bar con distesa che si affacciano sulle piazze principali di Reggio Emilia; dall’inizio della primavera al tardo autunno sono la sede della movida reggiana, ecco perché hanno scelto di incontrarci qui, all’ora dell’aperitivo, per farci respirare l’aria di convivialità tipica dei ritrovi di Reggio. Iniziamo l’aperitivo e iniziamo con le domande.
Alberto, da 1 a 10 quanto è utile per te incontrarsi a tavola per fare business? e perché?
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La tavola è di per sé un luogo di convivialità che favorisce il naturale e spontaneo abbassamento delle “difese” e della rigidità degli stili comportamentali professionali di ognuno di noi, chi più chi meno: questo fa sì che si sia maggiormente portati a rilassare il dialogo ed allargarlo ad ambiti non necessariamente legati al business ma utili alla reciproca conoscenza. Il momento della condivisione della tavola è infatti un’enorme fonte di spunti per scoprire meglio il nostro interlocutore, le sue abitudini, le sue passioni, i suoi punti di forza e anche quelli di debolezza. E, perché no, anche la sua personalità ed il suo trascorso di vita. Tutto questo contribuisce a creare (o non creare) una maggiore consapevolezza reciproca che condiziona la relazione di business e le decisioni da prendere.
Corrado, credi o ritieni che esistano particolari usi, costumi locali nel relazionarsi a tavola? Anche in momenti più “soft” come le pause caffè, gli aperitivi …
Sì.
Dopo aver passato anni in altre regioni d’Italia posso assicurare che la medesima ora, il medesimo tipo di incontro, si affrontano in maniere differenti. Anche solo l’arrivo al posto di incontro designato, le tempistiche, i modi e gli accessi, i riguardi e i manierismi sono diversi. In alcuni posti si arriva e si attende all’esterno del locale l’arrivo dei convitati, in altri si arriva e ci si accomoda per attendere.
Fausto, se dovessi descrivere la città dove vivi tramite il piatto tipico, quale indicheresti? Anche più di uno.
Reggio Emilia non si identifica solo in un piatto ma nella preparazione dello stesso. Preparare i cappelletti significa tirare la pasta con la cannella, preparare il ripieno, piegare con cura la sfoglia e aspettare il tempo giusto prima di cuocerli. Significa anche il profumo del brodo in ebollizione, in una domenica mattina ove, se persiste anche un po’ di nebbia, si ha il quadro completo di quanto il pranzo sarà dannatamente sempre in ritardo rispetto alla voglia di portare il cucchiaio alla bocca. Ma i cappelletti non saranno mai sufficientemente saporiti se non spolverati con un Parmigiano Reggiano invecchiato non meno di 36 mesi.
Corrado, se dovessi descrivere la città dove vivi tramite la bevanda tipica (alcolica o analcolica), quale indicheresti? Anche più di una.
Lambrusco e Spergola sono le prime bevande che vengono in mente parlando di Reggio Emilia.
Io però ho un ricordo di quando ero piccolo, quasi mezzo secolo fa, quando davanti ai giardini pubblici passava “il Biondo” con il triciclo a vendere gnocco fritto e nei chioschi di fianco alla statua monumentale vendevano l’acqua d’orcio, o acqua d’orzo, la più tipica bevanda di Reggio Emilia a base di liquirizia allungata con acqua fresca. Purtroppo la produzione industriale si è interrotta qualche anno fa, ma ho saputo che è stata inserita nei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Alberto, puoi descrivere un rito o un’abitudine relativi alla tavola tipici della tua città?
Sicuramente la “colazione salata” a base di erbazzone, gnocco al forno e/o chizze salate (simili a paste sfoglie o “vol au vent”, vuote o farcite con spinaci o prosciutto e formaggio): una tipicità più unica che rara da non confondere con la colazione salata internazionale. Anche in questo caso basta uscire dal territorio provinciale per non trovare più nelle vetrine dei bar queste proposte salate.
Fausto, hai una ricetta di famiglia, qualcosa che identifica le tue origini e che condivideresti?
Per riprendere Alberto direi l’erbazzone. Siete sicuri di volerlo preparare? Se non siete originari di Reggio Emilia non credo che avrete la mano giusta per un erbazzone esperienziale. Comunque, lo avete voluto voi!
Ingredienti
per il ripieno:
1,5 kg di spinaci o bietole
1 mazzo di cipollotti con gambo fresco e verde
una manciata di prezzemolo
60 g di lardo di prosciutto o pancetta
4 cucchiai di olio
50 g di burro
2 spicchi di aglio
4 o 5 manciate di Parmigiano Reggiano
sale e pepe q.b.
per la pasta:
200 g di farina
1 noce di strutto
2 cucchiai di olio
sala e pepe q.b.
acqua tiepida q.b.
Preparazione
Sciogliete sul fuoco il grasso di prosciutto aggiungendo l’aglio schiacciato e i cipollotti che avrete, anch’essi, tritati insieme ai gambi. Aggiungete olio e burro e, dopo che i cipollotti si saranno appassiti senza bruciacchiarsi, unite gli spinaci che avrete in precedenza lessati e strizzati. Lasciate insaporire con sale e pepe. Quando il tutto si sarà raffreddato, togliete l’aglio, aggiungete il prezzemolo tritato finemente e il Parmigiano Reggiano. Preparate la pasta e, fatta riposare per mezz’ora, dividetela in due parti. Tirate una parte con la cannella, adagiatela nello stampo oliato e versate il pesto. Tirate l’altra parte più sottile della prima, infarinatela e avvolgetela nella cannella pure infarinata: stringete le due estremità della pasta verso il centro del mattarello e lasciate scivolare la pasta increspata sul pesto. Dopo averla accuratamente bucherellata, mettete il tutto nel forno a 200°.
Lasciate per circa mezz’ora; a pochi attimi dalla completa cottura ungete la superficie con un pezzo di lardo.
Rimettete nel forno e togliete dopo pochi minuti, l’erbazzone è pronto.
Concludiamo con un tuo aneddoto Fausto, ricordi un momento in cui hai fatto delle scelte a tavola che ti hanno permesso di raggiungere gli obiettivi oppure al contrario, che ti hanno precluso questa possibilità? Puoi descriverle?
Una squadra di calcio femminile, piccole ragazzine con grandi sogni che si impegnano, nel fango o sotto il sole.
Dietro la rete di separazione del campo i genitori, fra loro sconosciuti e slegati. Inizio a parlare con uno di questi, ci frequentiamo solo vicino al campo, durante gli allenamenti, però si scherza e si ride, c’è sintonia. Una sera ci balena la stessa idea, quella di compattare il gruppo dei genitori così come è compatta la squadra delle nostre figlie in campo. Come? Con una nostra passione comune: la griglia.
Detto, fatto!
Organizziamo una partita genitori contro figlie e poi 120 persone sedute a condividere ciò che di meglio ci dà la nostra terra, i frutti del maiale.
Una faticaccia, in due vicino a quell’enorme fuoco ma una soddisfazione enorme nel vedere i genitori ridere e scherzare seduti a tavola.
Grazie Alberto, grazie Corrado e grazie Fausto per il tempo che ci avete dedicato, speriamo di reincontrarvi presto.
Di seguito alcuni collegamenti utili per approfondire la conoscenza di Reggio Emilia
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Foto di copertina Paolo da Reggio / CC BY-SA