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Grande porto del golfo al quale ha dato il suo nome, Taranto fu terra cartaginese prima di capitolare all’esercito romano e diventare parte dell’Impero. Elemento cardine della cucina tarantina è il pesce, soprattutto le cozze che trovano massima espressione nella versione arraganate (cozze gratinate), i rari gamberi viola, infine il polpo con patate; non mancano anche prodotti di terra come gli ortaggi, e di origine animale come i salumi, nonché carni di diverso tipo ad esempio per creare le bombette.

 Uno dei piatti tipici è la puccia, pane rotondo pugliese, farcito con salumi, provola piccante, sottaceti fino alle verdure grigliate. Altre preparazioni tipiche che hanno superato i confini della Puglia sono le chiancaredde, dette anche orecchiette tarantine (pasta rigorosamente fatta in casa) e il panzerotto. Per completare il pasto assaggiare anche le pettole tarantine, soffici nuvole di pasta fritta, preparate solitamente il giorno di Santa Cecilia.

I palati curiosi potranno divertirsi a provare i vini a denominazione disponibili come Lizzano DOC, Primitivo di Manduria DOC, Primitivo di Manduria Dolce Naturale DOCG, Aleatico di Puglia DOC, Negroamaro di Terra d’Otranto DOC, Puglia IGT, Salento IGT, Tarantino IGT, e Terra d’Otranto DOC espressi in bianco, rosato o rosso, dai fermi ai frizzanti ai dolci.

Arrivare a Taranto in auto non è un problema, parcheggiarla lo è un po’ di più, specialmente se ci vogliamo avvicinare al Castello Aragonese, il punto di incontro stabilito con Michelangelo Tria e Antonio Ditaranto. Il complesso è una meraviglia, anche per lo stato di conservazione ineccepibile. Un passaggio obbligatorio lo facciamo al Tempio di Poseidone passando davanti all’imponente edificio che è il Municipio. Girando tra scorci caratteristici e provvidenziali ombre di palme, i nostri amici ci conducono in una zona leggermente interna della città, in un parco ai cui lati troviamo un locale per l’aperitivo. Mentre programmiamo una visita pomeridiana al MArTA, uno tra i più famosi musei d’Italia, partono le domande.

Michelangelo, da 1 a 10 quanto è utile per te incontrarsi a tavola per fare business? e perché?

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Ritengo che il business a tavola ponga le basi per una conversazione più intima, volta a capire qualcosa di più del tuo interlocutore e porre le basi per una determinata richiesta più “soft”. Nonostante ciò, il limite della tavola è proprio la difficoltà a mantenere un atteggiamento professionale ed accortezze educative di dettaglio raffinato. Si diceva nelle famiglie: “a tavola non si parla mai di lavoro”. La condizione attuale dell’uomo metropolitano e viaggiatore è colma di pranzi in solitudine e riflessivi. Pranzare o cenare con un interlocutore in affari, o con il quale ci si appresti a concludere una trattativa, risulta interessante in ottica di fiducia reciproca… ma le attenzioni da tenere sono molteplici e il galateo non deve mai essere il solo protagonista. Bisogna raccontarsi mangiando.

Antonio, credi o ritieni che esistano particolari usi, costumi locali nel relazionarsi a tavola? Anche in momenti più “soft” come le pause caffè, gli aperitivi …

Alcuni anziani, ancora oggi, hanno l’abitudine estiva di trovarsi e riunirsi fuori dalla propria abitazione subito dopo cena, seduti in ordine sparso, per confronti di attualità, agricoltura, futuro dei figli, politica, e altro.

Michelangelo, se dovessi descrivere la città dove vivi tramite il piatto tipico, quale indicheresti? Anche più di uno.

Come il Crudo a Parma, i Cappelletti a Reggio Emilia o il pesto a Genova, il protagonista della cucina tarantina è la cozza. La tradizione della mitilicoltura, da secoli frutto di sussistenza della popolazione locale, con l’aiuto dell’ambiente e della morfologia territoriale, ha creato un patrimonio gastronomico invidiabile. Direi che i piatti principali della cucina Tarantina possono essere quelli abbinati ai sapori del mare, alle cozze in particolare. Primi con le cozze, cozze gratinate o una buona spaghettata allo scoglio. Se dovessi identificare un piatto soltanto, direi tubettini con le cozze, che spesso in antichità veniva interpretato anche con pasta sfusa e qualche aggiunta in variante di fagioli.

Antonio, se dovessi descrivere la città dove vivi tramite la bevanda tipica (alcolica o analcolica), quale indicheresti? Anche più di una.

Direi il vino, il Primitivo. In altre regioni viene utilizzato come vino da taglio, anche per l’alta gradazione alcolica. Per noi è il nostro vino da tavola.

Michelangelo, puoi descrivere un rito o un’abitudine relativi alla tavola tipici della tua città?

Un’abitudine? Dovrei dirti che i pranzi durano minimo due ore? O che le portate sono sempre eccessive? Ma questo può causare solo sorrisi… e poi, vietato farsi pagare il conto!

Hai una ricetta di famiglia, qualcosa che identifica le tue origini e che condivideresti?

Andavo a pescare con mio nonno e quando tornavamo a casa, il pesce fresco era subito in tavola. Parola d’ordine? Frittura di paranza. Ricordo una ricetta in particolare, quella della “pepata di cozze” di mia nonna, lei aggiungeva anche del limone e dei pomodorini.

Ne hai una anche tu, vero Antonio?

Purè di fave, che qualche decina di anni fa era considerato un piatto povero del quale accontentarsi in assenza di altro. Oggi è stato molto rivalutato sia per motivi di gusto e nutrizionali che per le varie associazioni di contorni a cui la pietanza si presta.

Concludiamo con un tuo aneddoto, ricordi un momento in cui hai fatto delle scelte a tavola che ti hanno permesso di raggiungere gli obiettivi oppure al contrario, che ti hanno precluso questa possibilità? Puoi descriverle?

La tavola a Taranto è uno dei momenti di condivisione per eccellenza aperto a tutti i commensali. Una volta, mia nipote Federica di sette anni, che tendeva ad interrompere spesso per attirare l’attenzione di tutti mi dette la possibilità di capire a chi volesse rivolgere la sua successiva domanda. Le suggerii di farlo senza la necessità di coinvolgere gli altri e inoltre con una voce più bassa, magicamente ricevendo risposta senza essere azzittita “dai grandi”. Ora spesso, quando le capita di interrompere tutti ed essere ripresa per questo, ci scambiano uno sguardo, le faccio l’occhiolino e, a voce bassa, si rivolge unicamente alla persona con cui vuole rapportarsi. Poi mi guarda sorridente. Ora sono lo zio a cui chiedere e raccontare qualcosa della sua vivacissima vita ed è una cosa che non si può comprare … obiettivo raggiunto!!!

Grazie Michelangelo e grazie Antonio per il tempo che ci avete dedicato, speriamo di reincontrarvi presto.

Di seguito alcuni collegamenti utili per approfondire la conoscenza di Taranto

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